I loro capi avevano insegnato agli Israeliti che erano un popolo eletto, non per concessione e monopolio speciali del favore divino, ma a causa della missione particolare di portare la verità del Dio unico e supremo a tutte le nazioni. Ed essi avevano promesso agli Ebrei che, se avessero adempiuto questo destino, sarebbero divenuti i capi spirituali di tutti i popoli e che il Messia atteso avrebbe regnato su di loro e sul mondo intero come Principe della Pace.
Quando gli Ebrei furono liberati dai Persiani, ritornarono in Palestina solo per cadere sotto la schiavitù dei loro stessi codici di leggi, di sacrifici e di rituali dominati dai sacerdoti. E come i clan ebrei respinsero la meravigliosa storia di Dio presentata nel discorso di addio di Mosè circa i rituali di sacrificio e di penitenza, così questi resti della nazione ebraica respinsero il magnifico concetto del secondo Isaia riguardante le leggi, le norme ed i rituali del loro clero in sviluppo.
L’egotismo nazionale, la falsa fede in un malinteso Messia promesso e le crescenti schiavitù e tirannia del clero ridussero per sempre al silenzio le voci dei capi spirituali (eccetto Daniele, Ezechiele, Aggeo e Malachia); e da quest’epoca fino al tempo di Giovanni il Battista tutto Israele subì un costante regresso spirituale. Ma gli Ebrei non persero mai il concetto del Padre Universale; anche fino al ventesimo secolo dopo Cristo essi hanno continuato a mantenere questa concezione della Deità.
Da Mosè a Giovanni il Battista si è stesa una linea ininterrotta di fedeli maestri che trasmisero la fiaccola della luce monoteistica da una generazione all’altra, mentre rimproveravano incessantemente i governanti senza scrupoli, denunciavano i sacerdoti che facevano commercio ed esortavano sempre il popolo ad aderire all’adorazione del supremo Yahweh, il Signore Dio d’Israele.
In quanto nazione gli Ebrei finirono per perdere la loro identità politica, ma la religione ebraica di credenza sincera in un Dio unico ed universale continua a vivere nel cuore degli esuli dispersi. E questa religione sopravvive perché ha efficacemente operato per conservare i più alti valori dei suoi seguaci. La religione ebraica preservò gli ideali di un popolo, ma non riuscì a favorire il progresso e ad incoraggiare la scoperta filosofica creativa nei regni della verità. La religione ebraica aveva molti difetti—era carente in filosofia e quasi priva di qualità estetiche—ma conservò i valori morali; per questo persisté. Il supremo Yahweh, comparato ad altri concetti di Deità, era ben delineato, vivido, personale e morale.
Gli Ebrei amavano la giustizia, la saggezza, la verità e la rettitudine come pochi popoli hanno fatto, ma hanno contribuito meno di tutti i popoli alla comprensione intellettuale e all’intendimento spirituale di queste qualità divine. Anche se la teologia ebraica rifiutò di ampliarsi, svolse un ruolo importante nello sviluppo delle altre due religioni mondiali, il Cristianesimo e l’Islamismo.
La religione ebraica persisté anche a causa delle sue istituzioni. È difficile per una religione sopravvivere come pratica personale di singoli individui. L’errore dei capi religiosi è sempre stato questo: vedendo i mali della religione istituzionalizzata essi cercano di distruggere la tecnica di funzionamento collettivo. Invece di distruggere l’intero rituale essi farebbero meglio a riformarlo. Sotto questo aspetto Ezechiele fu più saggio dei suoi contemporanei; sebbene si sia unito a loro nell’insistere sulla responsabilità morale personale, ha anche cominciato a stabilire l’osservanza fedele di un rituale superiore e purificato.
E così i successivi maestri d’Israele compirono la più grande impresa nell’evoluzione della religione mai effettuata su Urantia: la trasformazione graduale ma continua del concetto barbaro del selvaggio demone Yahweh, il geloso e crudele dio-spirito del tuonante vulcano Sinai, nel successivo concetto esaltato e celeste del supremo Yahweh, creatore di tutte le cose e Padre amorevole e misericordioso di tutta l’umanità. Questo concetto ebraico di Dio fu la rappresentazione umana più elevata del Padre Universale fino al momento in cui fu ulteriormente ampliato e così squisitamente amplificato dagli insegnamenti personali e dall’esempio di vita di suo Figlio, Micael di Nebadon.
[Presentato da un Melchizedek di Nebadon.]
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