L’inizio dell’evoluzione dei concetti e degli ideali ebraici di un Creatore Supremo data dalla partenza dei Semiti dall’Egitto sotto quel grande capo, maestro ed organizzatore che fu Mosè. Sua madre apparteneva alla famiglia reale d’Egitto; suo padre era un ufficiale semita di collegamento tra il governo ed i prigionieri beduini. Mosè possedeva così qualità derivate da fonti razziali superiori; i suoi antenati erano di sangue talmente misto che è impossibile classificarlo in un determinato gruppo razziale. Se non fosse stato di questo tipo misto, egli non avrebbe mai mostrato quella straordinaria versatilità e adattabilità che gli consentirono di guidare l’orda eterogenea che alla fine si unì ai Semiti beduini che fuggirono dall’Egitto verso il Deserto Arabico sotto il suo comando.
Malgrado il fascino della cultura del regno del Nilo, Mosè scelse di condividere il suo destino con il popolo di suo padre. Al tempo in cui questo grande organizzatore stava formulando i suoi piani per la liberazione finale del popolo di suo padre, i prigionieri beduini avevano una religione appena degna di tal nome; essi erano praticamente privi di un vero concetto di Dio e senza speranza nel mondo.
Nessun capo ha mai intrapreso la riforma e l’elevazione di un gruppo più derelitto, depresso, scoraggiato ed ignorante di esseri umani. Ma questi schiavi portavano delle possibilità latenti di sviluppo nelle loro linee ereditarie, e c’era un numero sufficiente di capi istruiti, che erano stati preparati da Mosè in previsione del giorno della rivolta e dell’attacco per la libertà, da costituire un corpo di efficienti organizzatori. Questi uomini superiori erano stati impiegati come sorveglianti indigeni della loro gente; essi avevano ricevuto una certa educazione grazie all’influenza di Mosè presso i dirigenti egiziani.
Mosè cercò di negoziare diplomaticamente la libertà dei suoi compagni semiti. Lui e suo fratello fecero un patto con il re dell’Egitto secondo il quale veniva accordato il permesso di lasciare pacificamente la valle del Nilo per il Deserto Arabico. Essi dovevano ricevere un modesto pagamento in denaro e merci come ricompensa del loro lungo servizio in Egitto. Da parte loro, gli Ebrei s’impegnavano a mantenere relazioni amichevoli con i Faraoni e a non unirsi in alcuna alleanza contro l’Egitto. Ma in seguito il re stimò opportuno ripudiare questo trattato giustificandosi con il pretesto che le sue spie avevano scoperto della slealtà tra gli schiavi beduini. Egli affermò che essi cercavano la libertà allo scopo di recarsi nel deserto per organizzare i nomadi contro l’Egitto.
Ma Mosè non si scoraggiò; attese il momento propizio, e meno di un anno più tardi, mentre le forze militari egiziane erano tutte occupate a resistere agli assalti simultanei di una forte spinta libica proveniente da sud e di un’invasione navale greca proveniente da nord, questo intrepido organizzatore condusse i suoi compatrioti fuori dall’Egitto con una spettacolare fuga notturna. Questa corsa verso la libertà fu accuratamente preparata ed abilmente eseguita. Ed essi vi riuscirono, nonostante fossero accanitamente inseguiti dal Faraone e da una piccola truppa di egiziani, i quali caddero tutti di fronte alla difesa dei fuggitivi, abbandonando molto bottino, che fu ancor più accresciuto dal saccheggio delle moltitudini di schiavi in fuga che avanzavano nella marcia verso la loro dimora ancestrale nel deserto.