Per diventare buddista si faceva semplicemente una professione pubblica di fede recitando il Rifugio: “Io trovo il mio rifugio in Budda; trovo il mio rifugio nella Dottrina; trovo il mio rifugio nella Fratellanza.”
Il Buddismo ebbe origine in una persona storica, non in un mito. I seguaci di Gautama lo chiamavano Sasta, che significa padrone o maestro. Benché egli non avesse fatto delle rivendicazioni superumane per se stesso o per i suoi insegnamenti, i suoi discepoli cominciarono presto a chiamarlo l’illuminato, il Budda; più tardi, Sakyamuni Budda.
Il vangelo originale di Gautama era basato sulle quattro nobili verità:
1. Le nobili verità della sofferenza.
2. Le origini della sofferenza.
3. La distruzione della sofferenza.
4. Il modo di distruggere la sofferenza.
Strettamente legata alla dottrina della sofferenza e al modo di sfuggirvi c’era la filosofia dell’Ottuplo Sentiero: giusti punti di vista, giuste aspirazioni, giusto parlare, giusta condotta, giusti mezzi di sussistenza, giusto sforzo, giusto raziocinio e giusta contemplazione. Gautama non aveva intenzione di tentare di distruggere ogni sforzo, ogni desiderio ed ogni affetto rifuggendo la sofferenza; il suo insegnamento era piuttosto destinato a descrivere all’uomo mortale la futilità di riporre ogni speranza ed ogni aspirazione interamente in scopi temporali ed in obiettivi materiali. Non si trattava tanto di dover evitare di amare i propri simili quanto che il vero credente guardasse anche al di là delle associazioni di questo mondo materiale, alle realtà dell’eterno futuro.
I comandamenti morali della predicazione di Gautama erano in numero di cinque:
1. Non ucciderai.
2. Non ruberai.
3. Non sarai impudico.
4. Non mentirai.
5. Non berrai liquori inebrianti.
C’erano parecchi comandamenti addizionali o secondari, la cui osservanza era facoltativa per i credenti.
Siddharta non credeva affatto nell’immortalità della personalità umana; la sua filosofia prevedeva solo una sorta di continuità funzionale. Egli non definì mai chiaramente che cosa intendeva includere nella dottrina del Nirvana. Il fatto che si potesse teoricamente farne l’esperienza durante l’esistenza mortale indicherebbe che non era considerato come uno stato di completo annullamento. Esso implicava una condizione d’illuminazione suprema e di felicità celeste in cui tutte le catene che legavano l’uomo al mondo materiale erano state spezzate; c’era libertà dai desideri della vita mortale e da ogni pericolo di subire una nuova incarnazione.
Secondo gli insegnamenti originali di Gautama, la salvezza si ottiene mediante lo sforzo umano, al di fuori dell’aiuto divino; non c’è posto né per la fede salvifica né per le preghiere alle potenze superumane. Gautama, nel suo tentativo di minimizzare le superstizioni dell’India, si sforzò di distogliere gli uomini dalle impudenti pretese di salvezza per mezzo della magia. E nel fare questo sforzo egli lasciò ai suoi successori la porta spalancata per un’errata interpretazione del suo insegnamento e per proclamare che ogni tentativo umano per riuscire è sgradevole e doloroso. I suoi discepoli trascurarono il fatto che la felicità suprema è legata al perseguimento intelligente ed entusiasta di scopi meritori, e che tali imprese costituiscono il vero progresso nell’autorealizzazione cosmica.
La grande verità dell’insegnamento di Siddharta fu la sua proclamazione di un universo di assoluta giustizia. Egli insegnò la migliore filosofia senza Dio mai inventata da uomo mortale; essa era l’umanesimo ideale e rimosse molto efficacemente ogni base per la superstizione, i rituali magici e la paura dei fantasmi o dei demoni.
La grande debolezza del vangelo originale del Buddismo fu che esso non produsse una religione di servizio sociale disinteressato. La fratellanza buddista fu per lungo tempo non una fraternità di credenti, ma piuttosto una comunità di allievi insegnanti. Gautama proibì loro di ricevere denaro ed in questo modo cercò d’impedire l’insorgere di tendenze gerarchiche. Gautama stesso era altamente sociale; in verità la sua vita fu molto più grande della sua predicazione.