Quando sono posti in stretto contatto gli uomini imparano spesso a simpatizzare gli uni con gli altri, ma gli uomini primitivi non traboccavano per natura di sentimenti fraterni e di desiderio di contatti sociali con i loro simili. Le razze primitive impararono piuttosto attraverso esperienze dolorose che “l’unione fa la forza”; ed è questa mancanza d’attrazione fraterna naturale che ostacola attualmente l’immediata realizzazione della fratellanza dell’uomo su Urantia.
L’associazione divenne ben presto il prezzo della sopravvivenza. L’uomo isolato era indifeso se non portava un marchio tribale che testimoniasse la sua appartenenza ad un gruppo che avrebbe certamente vendicato un attacco contro di lui. Anche all’epoca di Caino era fatale allontanarsi da solo senza un marchio di associazione ad un gruppo. La civiltà è diventata l’assicurazione dell’uomo contro una morte violenta, mentre i premi sono pagati dalla sottomissione alle numerose esigenze legali della società.
La società primitiva fu così fondata sulla necessità reciproca e sull’accresciuta sicurezza dell’associazione. La società umana si è evoluta in cicli millenari a seguito di questa paura dell’isolamento e grazie ad una cooperazione riluttante.
Gli esseri umani primitivi impararono presto che i gruppi sono molto più grandi e più forti della semplice somma di ogni unità individuale. Cento uomini uniti e che lavorano all’unisono possono spostare un grosso masso; una ventina di custodi della pace ben addestrati possono contenere una folla in collera. È così che nacque la società, non da una semplice associazione numerica, ma piuttosto come risultato dell’organizzazione di cooperatori intelligenti. Ma la cooperazione non è una caratteristica naturale dell’uomo; egli impara a cooperare prima per paura e più tardi perché scopre che è molto vantaggioso per far fronte alle difficoltà del tempo presente e per proteggersi contro i supposti pericoli dell’eternità.
I popoli che presto si organizzarono in una tale società primitiva ottennero migliori risultati nell’affrontare la natura come pure nella difesa contro i loro simili; essi avevano maggiori possibilità di sopravvivere. Per questo la civiltà è costantemente progredita su Urantia nonostante i suoi numerosi regressi. È soltanto a causa dell’accrescimento del valore della sopravvivenza nell’associazione che numerosi errori dell’uomo non sono riusciti finora ad arrestare o a distruggere la civiltà umana.
Che la società culturale contemporanea sia un fenomeno piuttosto recente è ben dimostrato dalla sopravvivenza sino ad oggi di condizioni sociali primitive come quelle che caratterizzano gli aborigeni australiani, i Boscimani e i Pigmei dell’Africa. Tra queste popolazioni arretrate si può ancora osservare qualcosa dell’ostilità di gruppo primitiva, del sospetto personale e di altri tratti altamente antisociali che erano così caratteristici di tutte le razze primitive. Questi miseri resti dei popoli asociali dei tempi antichi testimoniano eloquentemente il fatto che la tendenza individualista naturale dell’uomo non può competere con successo contro le organizzazioni ed associazioni più efficaci e più potenti del progresso sociale. Le razze asociali arretrate e diffidenti, che parlano un dialetto differente ogni sessanta od ottanta chilometri, illustrano in quale mondo avreste potuto vivere ora senza gli insegnamenti del gruppo corporale del Principe Planetario e le attività successive del gruppo adamico di elevatori razziali.
La frase moderna “ritorno alla natura” è un’illusione dell’ignoranza, una credenza nella realtà di un’antica fittizia “età d’oro”. La sola base per la leggenda dell’età d’oro è la realtà storica dell’esistenza di Dalamatia e dell’Eden. Ma queste società avanzate erano lontane dal realizzare sogni utopistici.