Gli Ebrei avevano molte opinioni sul liberatore atteso, e ciascuna di queste differenti scuole d’insegnamento messianico era in grado di citare dei passaggi nelle Scritture ebraiche a sostegno delle proprie affermazioni. In linea generale gli Ebrei consideravano che la loro storia nazionale cominciasse con Abramo e culminasse nel Messia e nella nuova era del regno di Dio. Inizialmente essi avevano immaginato questo liberatore come “il servitore del Signore”, poi come “il Figlio dell’Uomo”, mentre più tardi alcuni erano anche giunti a qualificare il Messia come il “Figlio di Dio”. Ma che fosse chiamato il “seme di Abramo” o “il figlio di Davide”, tutti erano del parere che dovesse essere il Messia, “l’unto del Signore”. In tal modo il concetto si evolvé dal “servitore del Signore” al “figlio di Davide”, al “Figlio dell’Uomo” e al “Figlio di Dio”.
Al tempo di Giovanni e di Gesù gli Ebrei più istruiti avevano sviluppato un’idea del Messia futuro come di un Israelita rappresentativo e perfezionato, che riuniva in se stesso come “servitore del Signore” la triplice funzione di profeta, di sacerdote e di re.
Gli Ebrei credevano sinceramente che, come Mosè aveva liberato i loro padri dalla schiavitù egiziana con prodigi miracolosi, così l’atteso Messia avrebbe liberato il popolo ebreo dalla dominazione romana con miracoli di potere ancora più grandi e con meraviglie di trionfo razziale. I rabbini avevano messo insieme quasi cinquecento passaggi delle Scritture che, nonostante le loro evidenti contraddizioni, essi affermavano essere profetiche del Messia futuro. Ed in mezzo a tutti questi dettagli di tempo, di tecnica e di funzione, essi persero quasi completamente di vista la personalità del Messia promesso. Essi si aspettavano la restaurazione della gloria nazionale ebrea—l’esaltazione temporale d’Israele—piuttosto che la salvezza del mondo. È quindi evidente che Gesù di Nazaret non avrebbe mai potuto soddisfare questo materialistico concetto messianico della mente ebraica. Molte delle loro pretese predizioni messianiche, se essi avessero guardato queste espressioni profetiche sotto una luce diversa, avrebbero preparato in modo del tutto naturale la loro mente a riconoscere Gesù come il terminatore di un’era e l’iniziatore di una nuova e migliore dispensazione di misericordia e di salvezza per tutte le nazioni.
Gli Ebrei erano stati portati a credere nella dottrina della Shekinah. Ma questo presunto simbolo della Presenza Divina non era visibile nel tempio. Essi credevano che la venuta del Messia ne avrebbe effettuato la restaurazione. Essi avevano delle idee confuse sul peccato razziale e sulla supposta natura malvagia dell’uomo. Alcuni insegnavano che il peccato di Adamo aveva maledetto la razza umana e che il Messia avrebbe rimosso questa maledizione e ristabilito gli uomini nel favore divino. Altri insegnavano che Dio, nel creare l’uomo, aveva posto in questo essere sia la natura buona sia quella cattiva; che quando osservò il funzionamento di questa combinazione egli fu assai deluso, e che “si pentì di aver creato l’uomo in questo modo”. Coloro che insegnavano ciò credevano che il Messia sarebbe venuto per redimere gli uomini da questa innata cattiva natura.
La maggioranza degli Ebrei credeva che essi avrebbero continuato a languire sotto la sovranità romana a causa dei loro peccati nazionali e della tiepidezza dei proseliti Gentili. La nazione ebraica non era sinceramente pentita; per questo il Messia tardava a venire. Si parlava molto di pentimento; da ciò il potente ed immediato appello della predicazione di Giovanni: “Pentitevi e siate battezzati, perché il regno dei cieli è vicino.” Ed il regno dei cieli poteva significare soltanto una cosa per un Ebreo devoto: la venuta del Messia.
C’era una caratteristica nel conferimento di Micael che era totalmente estranea alla concezione ebraica del Messia, ed era l’unione delle due nature, quella umana e quella divina. Gli Ebrei avevano variamente concepito il Messia come umano perfezionato, come superumano ed anche come divino, ma non avevano mai intrattenuto il concetto dell’unione dell’umano e del divino. Questo fu il grande intoppo dei primi discepoli di Gesù. Essi afferravano il concetto umano del Messia quale figlio di Davide, come era stato presentato dagli antichi profeti; quale Figlio dell’Uomo, l’idea superumana di Daniele e di alcuni dei profeti successivi; ed anche quale Figlio di Dio, come descritto dall’autore del Libro di Enoch e da certi suoi contemporanei. Ma non avevano mai intrattenuto per un solo istante il vero concetto dell’unione in una sola personalità terrena delle due nature, quella umana e quella divina. L’incarnazione del Creatore sotto forma di creatura non era stata rivelata prima. Essa fu rivelata soltanto in Gesù; il mondo non conosceva nulla di queste cose fino a quando il Figlio Creatore non si fece carne ed abitò tra i mortali del regno.