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Fascicolo 86
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L’evoluzione primitiva della religione

3. La morte—l’inspiegabile

86:3.1

La morte era lo shock supremo per l’uomo in evoluzione, la combinazione più sconvolgente di caso e di mistero. Non fu la santità della vita ma lo shock della morte che ispirò paura e favorì così efficacemente la religione. Tra i popoli selvaggi la morte era generalmente dovuta alla violenza, cosicché la morte non violenta divenne sempre più un mistero. La morte come fine naturale e prevista della vita non era chiara alla coscienza della gente primitiva, e l’uomo ha impiegato intere epoche per comprendere la sua inevitabilità.

86:3.2

L’uomo primitivo accettava la vita come un fatto, mentre considerava la morte come una sorta di calamità. Tutte le razze hanno le loro leggende di uomini che non sono morti, vestigia di tradizioni del comportamento iniziale verso la morte. Nella mente umana esisteva già il concetto nebuloso di un mondo degli spiriti confuso e disorganizzato, di un dominio da cui proveniva tutto ciò che è inesplicabile nella vita umana, e la morte fu aggiunta a questa lunga lista di fenomeni inspiegati.

86:3.3

Si credette inizialmente che tutte le malattie umane e la morte naturale fossero dovute all’influenza degli spiriti. Anche al tempo attuale alcune razze civilizzate considerano la malattia come prodotta da “il nemico” e fanno assegnamento su cerimonie religiose per la guarigione. Successivi e più complessi sistemi di teologia attribuiscono ancora la morte all’azione del mondo degli spiriti; e l’insieme di tutto ciò ha condotto a dottrine quali il peccato originale e la caduta dell’uomo.

86:3.4

Fu la presa di coscienza della sua impotenza davanti alle potenti forze della natura, unitamente al riconoscimento della debolezza umana di fronte alle calamità della malattia e della morte, che spinsero il selvaggio a cercare aiuto nel mondo sovrammateriale, che egli si raffigurava vagamente come fonte di queste misteriose vicissitudini della vita.


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